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martedì 12 novembre 2013

Le politiche dei papà separati in Australia… e in Italia. Strategie a confronto.


Questo articolo da Il Ricciocorno Schiattoso  (lungo ma, per favore, leggetelo, è importante per tutt*) , per mezzo di un raffronto tra un reportage e delle schermate prese dalla rete italiana, mostra ciò che stiamo denunciando anche su questo blog da anni, cioè l’unità delle strategie del movimento mascolinista nel mondo,  l’utilizzo degli stessi metodi basati sul bullismo, sul female bashing (diffamazione e ridicolizzazione del genere femminile), sulla persecuzione individuale di ogni attivista che si interessi di antiviolenza (e quindi di ogni attivista femminista o profemminista, uomo, donna che sia), sulla diffamazione del movimento LGBT
L’assoluta somiglianza delle argomentazioni, persino la comune abitudine ad inventare dati statistici privi di fondamento e circostanze fasulle, la comune tendenza a negare il fenomeno della violenza sulle donne e minimizzare la pedofilia e l’incesto ed a riferirsi ad un inesistente lobby o complotto femminista e omosessuale per minare “i valori della famiglia” , uniti ad un massivo
cyberbullismo, non sono che caratteristiche comuni  che provano l’adesione ad un sistema già collaudato altrove.
Perché questo fenomeno?
Tanto per cominciare, ricordiamo nuovamente che essi non rappresentano affatto la categoria dei padri separati ma piuttosto rappresentano i nostalgici del patriarcato, ovvero i nostalgici del potere indiscusso del solo padre all’interno della famiglia, i nostalgici dell’idea della famiglia come proprietà maschile.
I padri separati sono piuttosto un pretesto per veicolare il neomaschilismo, cioè il movimento di reazione contro l’equiparazione dei diritti.
Trattandosi di un movimento nettamente reazionario e non progressista, naturalmente non rappresenta tutti quegli uomini e quelle persone che nella suddivisione dei compiti e nella parificazione dei diritti hanno trovato vantaggi e non rappresenta tutti coloro che ritengono il maschilismo un atteggiamento deprecabile, mirato a mantenere la disparità di potere tra uomo e donna a favore dell’uomo ed il sistema di discriminazioni che concede al solo essere umano maschile, eterosessuale, preferibilmente bianco, benestante, conservatore, la fetta di potere maggiore.
Possibile mai, quindi, che in ogni nazione occidentale i padri separati vivano le stesse presunte ingiustizie che denunciano?  Non è possibile che in ogni nazione ci siano le stesse ingiustizie normative, vi pare?
Quindi la loro lamentela non è verso questa legge o quest’altra ma verso un sistema comune a queste nazioni.
Cosa hanno in comune le nazioni occidentali in cui è nato questo fenomeno? Ad accomunarle è la condizione della donna. Ovvero, la conquista dei diritti delle donne.
Non vedrete un solo padre separato lamentarsi in Afghanistan, Iran, Pakistan ed in ogni nazione islamica non moderata mentre vedrete troppo spesso padri separati indicare l’islam estremista come modello ideale.
Inoltre, certamente non sono assolutamente tutti padri separati, anzi, questi sono una ristretta minoranza.
A perorare la causa dei padri separati troverete per lo più uomini singles,  utilizzatori di prostitute, ragazzi  anche di età giovanile (spesso fragili e confusi dai messaggi contraddittori della società che da una parte dipinge gli uomini come detentori del potere e dall’altra confida sulle capacità femminili), uomini ammogliati e moltissimi uomini con un passato giudiziario discutibile, implicati a vario livello in denunce o cause per violenze ai danni di donne e bambini.
Il movimento, quindi, fornisce asilo ed una prospettiva di difesa ad ogni uomo che si sia visto denunciare per ogni forma di abuso su donne o bambini.
Quindi, riassumendo, è un movimento basato in primo luogo sull’antifemminismo e che utilizza i metodi del terrorismo di massa, cioè gli stessi metodi usati dalla chiesa cattolica e dal maccartismo per demonizzare il comunismo, quindi è basato sulla diffamazione del femminismo e tenta di indurre un fenomeno di isterismo di massa che induca all’abbandono del femminismo ed a riportare le donne sotto il controllo maschile.
Quindi, un movimento assolutamente illiberale ed antidemocratico, che esercita anche di fatto una repressione furibonda contro le femministe e i profemministi, contro le rivendicazioni di genere anche da parte di omosessuali, lesbiche, trans, intersessuali e via dicendo,  e che per aggirare le accuse di sessismo tenta addirittura il capovolgimento della logica e di spacciare per paritarismo il dominio maschile e per antisessismo il maschilismo eterosessuale.
Buona lettura.

Le politiche dei papà separati in Australia… e in Italia. Strategie a confronto.

Posted on 12 novembre 2013 di il ricciocorno schiattoso

Tratto da The politics of fathers’rights activists -Le critiche all’operato dei Tribunali meritano di essere esaminate alla luce dei fatti? di M.C.Dunn

Il testo esamina i contenuti, caratterizzati da hate speech ed estremismo, dei “fathers’ right groups” australiani. Analizza il comportamento e il linguaggio di due dei maggiori gruppi organizzati, lo Shared Parenting Council of Australia (SPCA) e la Fatherhood Foundation (FF), con particolare attenzione ai temi della violenza contro donne e bambini e il modo in cui questo tema entra in relazione con l”assenza del padre”. L’articolo fornisce anche prove di come collettivi organizzati in rete, collegati a questi due gruppi maggiori, incitino all’odio verso le donne e verso coloro che sono percepiti come “sostenitori” delle stesse. Esamina le ragioni che stanno alla base dell’accoglienza che il mondo della politica riserva a questi gruppi, mentre l’odio e il livore che emergono dai loro discorsi vengono completamente ignorati, a detrimento della condizione di donne e bambini.

Nel 1995, quando la Australian Family Law stava per essere modificata,  il giudice Nichols, a capo della Family Court of Australia, dichiarò: “Alcuni persone e alcuni politici, con limitate conoscenze degli argomenti in oggetto, si aggrappano a soggetti disfunzionali allo scopo di raggiungere obiettivi apparentemente politici. Questo è l’ultimo disgraziato effetto del progressivo aumento di potere in capo a questi soggetti: non solo il loro comportamento è considerato accettabile, ma suscita simpatie e approvazione da parte dei politici e del Governo. Questa Corte ha fin troppa esperienza del fatto che coloro che muovono quelle critiche si sono comportati in modo tale che le loro critiche non dovrebbero neanche essere prese in considerazione, e mi riferisco ad episodi di violenza contro donne e bambini.”

Il Giudice Nichols era consapevole del fatto che i più ostili critici del sistema giudiziario in tema di diritto di famiglia erano “persone insoddisfatte dell’andamento delle cause che avevano intrapreso in Tribunale, spesso persone chiaramente disturbate”. Inoltre, era consapevole del fatto che quelle stesse persone e i gruppi ai quali queste persone facevano riferimento avevano libero accesso ai corridoi del potere, accesso che ha condotto a riforme che impediscono di intervenire in caso di violenza posta in essere contro donne e bambini.

“Queste persone” ha dichiarato il Giudice Nichols “che dichiarano di difendere i diritti dei padri, in realtà fanno molto poco per la causa. Ci sono diritti legittimi che possono essere rivendicati, ma per una effettiva uguaglianza è importante che nei Tribunali non si adottino atteggiamenti discriminanti né nei confronti degli uomini né nei confronti delle donne.”

bravi_papà

Nel 1998 Warwick e Alison Marsh fondano la Fatherhood Foundation (FF) in risposta a quella che percepivano come una “crisi della società” causata dalla mancanza della figura paterna e dall’aumento dei divorzi. A sostenere la loro ascesa è stato l’aggregarsi di alcuni gruppi a sostegno dei diritti dei padri, come il “Fairness in Child Support/Non-Custodial Party” e la “Lone Fathers Association“. L’alleanza con il men’s health network, i gruppi di preghiera cristiani e conservatori e altri gruppi che rivendicano “i diritti degli uomini“, ha fatto in modo che la FF riuscisse a proporre la riforma del diritto di famiglia in modo più strategico. Obiettivo della riforma è rivendicare i diritti dei padri sui bambini, sulla base di contestabili affermazioni quali “troppi uomini si stanno suicidando a causa di un sistema giudiziario sempre a favore delle donne”, una situazione risolvibile solo per mezzo dell’imposizione della shared care.

Con shared care queste organizzazioni intendono una disposizione di legge che stabilisca che, i caso di separazione, i bambini debbano vivere il 50% del tempo con ciascun genitore; quei genitori che non intendono rispettare questo genere di accordo, devono rivolgersi al Tribunale per contestarlo, come spiega Matilda Bawden, portavoce dello Shared Parenting Council of Australia (SPCA): “Entrambi i genitori hanno il diritto di mantenere contatti con la prole con tempi paritetici e coloro che ritengono che questo non sia nel superiore interesse del minore debbono contestare l’affido condiviso in Tribunale”: ma le circostanze in cui un simile accordo è contestabile, da questi soggetti, non sono mai state chiarite.

E’ importante stabilire il corretto significato di shared care, perché mentre per questi gruppi il termine va interpretato come paritetica permanenza presso ciascun genitore, il Family Law Act modicato nel 1996 chiarisce che con “affido condiviso” si intende equamente condiviso non il minore, ma la responsabilità genitoriale nei suoi confronti: entrambi i genitori sono ugualmente responsabili del suo benessere ed è solo il benessere del minore (non le rivendicazioni dei genitori) il criterio sulla base del quale stipulare degli accordi che stabiliscano come e dove debba risiedere.

E’ a partire dal 2002 che i maggiori esponenti della FRAO (Fathers Rights Activist Organization) cominciano ad usare la più ambigua denominazione “Shared Parenting Council of Australia” (SPCA), con l’intento di proporsi come movimento supportato anche dalle donne (donne di solito rappresentate prevalentemente da seconde mogli o nonne paterne).

seconde_mogli

Mentre la Fatherhood Foundation è caratterizzata da un nucleo fondamentalista cattolico, che pone particolare enfasi sul ruolo determinante del padre all’interno della famiglia, lo Shared Parenting Council of Australia si propone a sostegno dei diritti del genitore “non collocatario” (quello che normalmente risiede meno tempo col minore), ma sono molti gli attivisti che compaiono in entrambe le organizzazioni o si spostano da una all’altra. Entrambe, comunque, sostengono la medesima riforma del diritto di famiglia, che richiede un equa divisione dei tempi di permanenza del minore presso i genitori, ma rivendica anche il diritto degli uomini su beni e proprietà condivisi in constanza di matrimonio e contesta gli ammortizzatori sociali a favore delle famiglie monogenitoriali.

Negazioniste della tratta e attori porno smemorati

 

Seconda parte di un ciclo di articoli che illustra in Italia il percorso abolizionista francese ad un possibile pubblico al quale un’informazione monopolizzata e tesa ad isolare la comunità italiana nasconde la realtà internazionale sul fenomeno della prostituzione.

Negazioniste della tratta e attori porno smemorati

MR, Prostituzione 4 Responses »

nov 10 2013

di Maria Rossi

Dopo la miliardaria Élisabeth Badinter, l'antifemminista Marcela Iacub e i 343 (in realtà soltanto 17) maiali, contro il movimento abolizionista francese vengono reclutati Laura Augustín e Thierry Schaffauser.

La prima ritiene che la proposta di legge francese sia moralista e altamente repressiva. Sulla sua opinione in materia non nutrivo alcun dubbio. L'antropologa Laura Augustín, infatti, non è una ricercatrice qualsiasi, ma un'appassionata sostenitrice di posizioni estremiste in relazione alla prostituzione. A lei è persino inviso il termine tratta che, a suo parere, dovrebbe essere bandito dal dizionario, in quanto produrrebbe un'incresciosa vittimizzazione delle donne che la subiscono. L'espressione dovrebbe essere sostituita dalla più neutra sex workers migranti, persone, a suo parere, fortunate perché inserite in frizzanti ed inebrianti ambienti cosmopoliti.

Quella che noi, colpevolmente, ci ostiniamo a definire "vittima di tratta", infatti:

Lavora nei club, nei bordelli, nei bar e negli appartamenti multiculturali dove si parlano molte lingue. [...] Per quelle che vendono servizi sessuali, gli ambienti nei quali vivono sono luoghi di lavoro, dove molte ore sono consacrate all'incontro con altre persone che esercitano la stessa attività, alla conversazione, alle bevute con le colleghe, così come con i clienti e con gli altri impiegati dei locali come i cuochi, i camerieri, i commessi, i portieri, alcuni dei quali dimorano lì, mentre altri vi si trovano per lavoro. Trascorrere la maggior parte del tempo in tali ambienti è un'esperienza che crea soggetti cosmopoliti, almeno nel caso in cui le persone siano capaci di adattarvisi. Per definizione, ciò genera una relazione particolare con l'ambiente. Questi cosmopoliti ritengono che il mondo appartenga a loro, che non sia che un luogo da abitare.

Il brano è così commentato dalla giornalista Kajsa Ekis Ekman, femminista anarchica abolizionista svedese:

L'immagine della vittima della tratta a fini di prostituzione è dunque quella di una persona che banchetta con i benestanti, frequenta i locali notturni in diverse metropoli e forse dà, occasionalmente, una toccatina ai clienti dietro il bancone del bar. E' felice e dà un'impressione di agiatezza. E' interessante notare che non figura da nessuna parte nella descrizione di questo ambiente "lussuoso" in che cosa consista in realtà questo "lavoro.

Questa non è l'unica opinione "bizzarra" sostenuta dall'antropologa. Riferendosi a donne trasferite nei Paesi occidentali da gangs criminali, sequestrate in appartamenti e costrette a prostituirsi, ella scrive:

Queste circostanze in cui le donne vivono in locali dove si pratica sesso ed escono raramente, prima di essere condotte altrove, senza che sia da loro richiesto, attirano l'attenzione dei media, e si dà per acquisito che ciò comporti una completa negazione della libertà. Ma in numerosi casi, le lavoratrici migranti preferiscono questa soluzione per diverse ragioni. Non lasciando il posto, non sperperano denaro e, se non hanno un permesso di soggiorno, si sentono più sicure in un ambiente controllato. Se qualcun altro individua i luoghi di incontro e prende gli appuntamenti in loro vece, ciò significa che non devono accollarsi questo compito.

Pur di non impiegare l'odioso vocabolo sequestro di persona, Laura Augustín ricorre a tortuose circonlocuzioni. Le vittime di tratta vivono in locali dove si pratica sesso; escono raramente (e meno male che non ha scritto che in tal modo evitano di contrarre l'influenza!), vengono trasferite senza richiederlo. Non solo! La segregazione viene presentata come una condizione vantaggiosa: consente di risparmiare denaro e tutela dalle interferenze della polizia, mentre le gangs criminali responsabili della tratta vengono dipinte come dame della carità di antica memoria, o come efficienti segretarie, se si preferisce, che si accollano la gravosa incombenza di proteggere le donne (meglio loro delle aborrite forze dell'ordine?) e di fissare gli appuntamenti delle lavoratrici migranti con i clienti.
L'informatissimo blog di uno di questi, un inglese trasferitosi nei Paesi Bassi, riporta, stigmatizzandole, una panoplia di altre scioccanti opinioni dell'antropologa Augustín, con relativa indicazione dei link agli articoli nei quali sono contenute. Per lei, ad esempio, la schiavitù per debiti, (sappiamo che la maggior parte delle vittime di tratta li ha contratti), per quanto deplorevole, è sostanzialmente accettabile e il fatto di saldarli è parte di un normale progetto di vita.

The point isn’t that debt is all good or all bad but that it exists everywhere, and its bondage is often seen as lamentable, yes, but as acceptable – something people are meant to struggle to pay off as part of normal life. www.lauraagustin.com

Nel sistema prostituente nulla dovrebbe essere vietato, neppure il reclutamento delle bambine e dei bambini. A chi le chiede se non sia lecito formulare dubbi sull'effettiva volontà di prostituirsi di una ragazzina o di un ragazzino di 10 anni, lei risponde di no. Non bisogna mettere in discussione la capacità di decidere di una persona di quell'età.

lunedì 4 novembre 2013

Maiali pro-prostituzione e «femministe» alquanto confuse


Certamente è frustrante andare contro il colossale mostro del patriarcato, marciare controcorrente, battersi per diritti e poteri minoritari contro i poteri forti, prendersi insulti, passare la vita ad essere demonizzate, ridicolizzate in quanto femministe. Ma mai e poi mai la “punizione” alla quale siamo sottoposte può diventare una comprensibile motivazione per giustificare il salto della quaglia e il passare alle ragioni dei potenti.
Sostenere che l’abolizionismo della prostituzione sia neoproibizionismo è già un’affermazione volta alla denigrazione dell’abolizionismo. Sostenere addirittura che l’abolizionismo sia pro-capitalismo è semplicemente ridicolo come il bue che addita l’asino dandogli del cornuto.
La prostituzione crea un giro mondiale di miliardi di euro e di questi soldi solo una minima parte va alle prostitute. La maggioranza è intascata dalle reti di sfruttamento.
Anche un bambino capirebbe che il corpo diventa un bene impersonale da capitalizzare e che nessuna autodeterminazione può prevedere lo sfruttamento.

Impossibile, quindi, per me non condividere il contenuto di questo pezzo di Maria Rossi.

Maiali pro-prostituzione e «femministe» alquanto confuse

Femminismo, Maschilismo, MR, Prostituzione Add comments

nov 04 2013


di Maria Rossi

Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo dal titolo piuttosto scioccante: Il corpo di una donna si può vendere, cui si affiancano le parole: Per scelta.
Osservo anzitutto che ad essere oggetto di compravendita, di alienazione, di espropriazione è solo ed esclusivamente il corpo di una donna, non quello di un uomo; corpo che non si può scindere dalla persona, indipendentemente da quel che ne pensava Decartes. Non si comprende neppure, leggendo il titolo, chi possa attuare la vendita, giacché il verbo impersonale priva la transazione di un soggetto che la realizzi, o meglio, rende gli estranei (i magnaccia?) in grado di compierla. Ne deriva un'estremizzazione del processo di reificazione della donna: mero corpo-oggetto che chiunque (gli sfruttatori della prostituzione?) può immettere sul mercato ...per scelta. Questo è il significato letterale del titolo. Non so se la persona che l'ha scelto se ne sia resa conto. Vorrei però ricordare che circa il 90% delle donne esercita la prostituzione sotto il controllo di una rete di prosseneti che sfrutta e vende, appunto, i loro corpi ai clienti.
L'articolo che sto commentando contesta le politiche francesi che mirano all'abolizione della prostituzione, demonizzando le presunte ispiratrici MacKinnon e Dworkin (in realtà sono miriadi le femministe che condividono queste idee e se proprio dovessi individuare la fonte originaria delle riflessioni sulla prostituzione come istituzione patriarcale la ricercherei nel pensiero di Kate Millet), tacciando le femministe abolizioniste di neoliberismo, di neocolonialismo, di collusione con la borghesia, di paternalismo poliziesco, di conservatorismo e via insultando.
Come numi tutelari, l'autrice dell'articolo, che si definisce femminista, invoca Marcela Iacub, Élisabeth Badinter e persino i famosi 343 autoproclamatisi porci (salauds) (in realtà sono solo 17), firmatari di un manifesto pro mercificazione del corpo altrui, contestato persino dalle iscritte al sindacato delle prostitute: lo STRASS e intitolato Touche pas à ma pute (Giù le mani dalla mia puttana).
Vorrei osservare come il movimento abolizionista in Francia sia in realtà sostenuto dal Partito Socialista e dal Front de Gauche (Federazione del Partito Comunista e del Partito della Sinistra), dagli studenti, soprattutto socialisti e comunisti, universitari e delle scuole superiori, (secondo un sondaggio, il 73% dei ragazzi e delle ragazze francesi è favorevole all'abolizione della prostituzione) e, ovviamente, da femministe di tutte le correnti, inclusa quella anarchica. Alcune di loro si proclamano con orgoglio rivoluzionarie (Penso, per citare un solo esempio, a Les efFRONTé-e-s, la cui segretaria generale è Fatima-Ezzahra Benomar, nata a Rabat, in Marocco). Altro che neocolonialismo, conservatorismo e collusione con il capitalismo e la borghesia!
Chi sono invece le divinità protettrici evocate dall'autrice dell'articolo in questione?
La giurista Marcela Iacub ha difeso appassionatamente dall'accusa di stupro l'ex direttore del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss-Kahn, con il quale ha intrecciato una tormentata relazione, narrata, dopo la conclusione, in un libro poco gradito all'interessato, da lei definito, per altro, mezzo uomo e mezzo maiale (mi-homme mi-cochon). Iacub è un'accesissima antifemminista. Le è stata affidata una rubrica sul mensile erotico e misogino Lui, una commistione tra Paris Match e Playboy, fondato nel 1963, chiuso negli anni Ottanta e riaperto a settembre da Frédéric Beigbeder, uno dei firmatari del manifesto dei maiali (Touche pas à ma pute). Sul primo numero del mensile, Iacub si inalbera contro la legge che consente alle donne di ottenere il riconoscimento di paternità dei figli. Anziché accettare tranquillamente di restare madri single, femmine scellerate, infatti, pretendono che i compagni si assumano le proprie responsabilità, anche quando sono stati incastrati, ossia, quando sono stati vittime di uno stupro o di un furto di seme. Sì, perché nell'allucinato mondo horror di Marcela Iacub le perfide e diaboliche donne stuprano regolarmente gli uomini e recuperano persino i loro preservativi usati allo scopo di auto inseminarsi con lo sperma dello sfortunato proprietario (s’inséminer avec le liquide du malheureux propriétaire).Un maldestro tentativo di imitare l'ermafroditismo delle lumache? Mah!. Agli uomini non resta quindi che accogliere il caloroso invito di Iacub a farsi sterilizzare o a depositare il proprio sperma nelle banche del seme, per evitare di diventare padri a propria insaputa. Insomma, nell'universo visionario della nostra giurista gli uomini non intervengono mai nella riproduzione, non ne sono minimamente coinvolti. Non ci sono proprio o, se ci sono, vengono stuprati o dormono, nel senso che lasciano improvvidamente incustoditi, alla mercé di mefistofeliche e luciferine femmine, i preziosi contenitori di materiale inseminante (i profilattici usati).
Quanto ad Élisabeth Badinter, soltanto in Italia la ricca ereditiera viene gratificata del titolo di femminista. In Francia le militanti del movimento delle donne le assegnano il posto d'onore tra le compagne di strada dei maschilisti. Aspre critiche riceve anche dalle femministe canadesi ed inglesi. Nel nostro Paese, invece, è apprezzata in ugual misura, in uno stranissimo connubio, da femministe (per le sue posizioni sulla maternità) e da infervorati antifemministi, che sui loro siti pubblicano compiaciuti le sue interviste e stralci del libro La strada degli errori. Alla signora Bleunstein-Blanchet (Badinter è il cognome del marito) si possono tranquillamente attribuire tutti gli epiteti che l'autrice dell'articolo che sto commentando rivolge, a mo' di invettiva, alle femministe abolizioniste, a partire da quello di neocolonialista, nella singolare accezione in cui lo intende la nostra blogger, che indirizza l'insulto a chi in Francia si è dichiarato contrario a consentire alle donne di indossare il velo nei luoghi pubblici. Non solo Badinter sostiene questa posizione, ma esorta pure calorosamente le mussulmane che dimorano in Francia e si ostinano ad indossarlo ad emigrare in Afghanistan o in Arabia Saudita!
A Badinter si possono soprattutto indirizzare le accuse di collusione con la borghesia e con il capitalismo neoliberista rivolte dalla nostra blogger alle femministe abolizioniste. Mi correggo! La signora Badinter non è complice, ma prestigiosa esponente del club dei più facoltosi capitalisti francesi. Dal padre ha ereditato, infatti, la multinazionale Publicis, la terza agenzia pubblicitaria del mondo, che nel 2012 ha realizzato un fatturato di sei miliardi e seicento dieci milioni di euro.  La signora, che è azionista di riferimento e presidente del consiglio di sorveglianza della società, ha incassato l'anno scorso 1,4 miliardi di dollari. Non proprio un'anticapitalista, un'indignata o un'occupy Paris, come potete constatare!

domenica 13 ottobre 2013

Il sessista quotidiano


Inutili i continui appelli nazionali ed internazionali alla rappresentazione non umiliante dell’immagine della donna sui media. Il pezzo di carne “tira” e i quotidiani on line si mettono in concorrenza con i siti porno e con la peggiore pubblicità sessista ma il risultato è anche più disastroso di quello del carrozziere di provincia pubblicizzato da un sedere femminile perché articoli che denunciano forme di violenza sulle donne non dovrebbero essere mai corredati da foto del genere:

sessista1
Questa la foto di Padovaoggi.it

Sessista2

Questa la foto de Il Gazzettino.it ed è quella piaciuta di più, evidentemente, perché è la stessa utilizzata su Leggo.it,

venerdì 27 settembre 2013

L’antisessismo a macchia di leopardo


Fifties-HousewifeIn principio era un convegno sul ruolo dei media nella trattazione della violenza di genere.
Un convegno contestuale alla conversione in legge di  discusso decreto “antifemminicidi” accolto con scarso entusiasmo da giuriste ed associazionismo femminista, dalla rete dei centri antiviolenza, dalle poche realtà di “recupero” dei “maltrattanti, da chi vive la materia sul “campo di battaglia”.
Il convegno “Convenzione di Istanbul e media” è stato una delle iniziative destinate ad orientare quel decreto nella direzione giusta, cioè nella direzione stabilita con la Convenzione di Istanbul.
Cito l’esempio del capitolo III, quello sulla prevenzione, al paragrafo 12 (Obblighi Generali) dove la Convenzione di Istanbul recita:
”Le Parti adottano le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini.”
In quest’ottica, l’intervento della Presidente Boldrini (che potete leggere per intero qui) è stato assolutamente in tema.
Insomma, è assodato ed accettato che la causa del fenomeno del femminicidio è la gerarchia tra i sessi, la disparità di potere tra uomini e donne, la funzione di subordinazione della donna e che questo scalino vada eliminato. La Presidente Laura Boldrini non ha sostenuto nulla di nuovo.
Eppure, la banale citazione esemplificativa di uno scontato stereotipo sessista ha scatenato un putiferio demenziale.
Naturalmente, a far scattare il meccanismo funzionale al polverone è stata la consueta estrapolazione e distorsione di una frase decontestualizzata ed accompagnata dalle abili presentazioni strumentali dei soliti tribuni del popolo, Andrea Scanzi in testa, in ottima compagnia non solo di altri bloggers ed attivisti progressisti ma anche di Libero (questi ultimi con un capovolgimento clamoroso della logica e delle posizioni, danno a Boldrini della “talebana”),
del Giornale e dell’immancabile CasaPound. Siccome in Italia vige la norma dell’informarsi attraverso i commenti altrui o al massimo dai titoli e mai dalle fonti, si è scatenato il consueto allarmismo di massa.

Non mi è ben chiaro come sia possibile attribuire a Laura Boldrini poteri dittatoriali di cui non dispone, eppure ogni volta che la Presidente apre bocca si evocano censure e deportazioni . È accaduto quando ha denunciato il fenomeno del cyberstalking, materializzando lo spettro della censura contro l’abitudine recente ma già considerata irrinunciabile del pestaggio mediatico come mezzo espressivo.
La descrizione della famigliola seduta a tavola in attesa di essere servita dalla madre ha richiamato immediatamente alla mente uno spot Barilla attuale che io neanche sapevo esistesse. Per me e chi mastica di questioni di genere non era che la menzione persino scontata della solita scena presente in decine di  pubblicità già viste.
Ma la pasta è la pasta. La cena è la cena. La mamma è la mamma e l’italiano medio è ancora l’italiano medio. Chi di stereotipo colpisce, di stereotipo perisce e lo spettro di Tony Soprano è pericolosamente vicino.

lunedì 5 agosto 2013

Se non ti sacrifichi per i figli non sei madre? Se non assisti i cittadini non sei Stato!

Cattura26Certi messaggi contro le donne vengono passati con tutta la tranquillità del mondo.
http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/08/05/news/figlia_disabile_abbandonata_in_casa_la_madre_non_ne_potevo_pi-64323247/?ref=HREC1-9

Sdegno, rabbia e conseguenti insulti sessisti, soprattutto nella mente e sulle labbra di ogni donna disimpegnata sul fronte dei diritti umani ma che si ritenga una donna “per bene” perché attorno a sé ha tutti gli elementi rassicuranti di una dimensione borghese. La tipica donna allevata per fare la guerra a tutte le altre.
Come si bolla una madre che abbandona la figlia disabile?
Ovviamente, la si chiama “puttana” perché dopo oltre 2000 anni stiamo ancora lì: o sei santa martire e madre vergine o sei puttana, o sei Maria o Maddalena. Pare che altri ruoli nella commedia non siano saltati fuori.
E che le prostitute in gran parte siano martiri di un capitalismo alimentato da chi si sente borghese e che le sante borghesi abbiano mediamente la vita più facile, è un pensiero generalmente scomodo e rimosso.

Mi ribello a questa visione grazie alla mia coscienza allenata da civismo e femminismo. Mi ribello all’idea che il valore di una donna si riduca al suo sacrificio come madre (o più genericamente come badante), anche se al posto di questa donna non avrei mai lasciato sola mia figlia, come non ho abbandonato i miei genitori, perché anch’io sono stata imbevuta di senso del dovere e di sacrificio cristiano, come tutte le altre italiane. Ma il mio essere attivista, civicamente critica ed allenata a riconoscere i miei diritti ed i miei doveri, mi ricorda che la dimensione di una persona non si  esaurisce tutta nella famiglia e al ruolo obbligato di madre/badante/infermiera gratuita nel quale nasce ogni neonata in Italia e che molto di rado gli uomini ricoprono.

Sei madre? Lo resti tecnicamente a vita, anche se ti morissero tutti i figli, ma solo nella società italiana sei costretta ad esercitare il ruolo della madre fino a quando sei così anziana da prendere fuoco ai fornelli mentre prepari la cena per mariti o figli ultrasessantenni, zitelli, separati o divorziati, o da farti uccidere e fare a pezzi da figli con gravi turbe psichiche.
Se ad 85 anni ti prende fuoco la vestaglia mentre prepari la cena al tuo bambino di 60 anni, rigorosamente incapace di farsi un uovo in padella (perché siamo in Italia, dove la società insegna all’uomo  quanto sia “degradante” l’autosufficienza domestica) muori come un soldato sul campo di battaglia, cioè per la società italiana muori nell’adempienza del tuo dovere (e il dualismo uomo/soldato, donna/madre e moglie è un retaggio fascista, ergo siamo ancora una società fascista).
Non ti è accordato diritto all’esistenza come persona a 360 gradi e neppure il diritto alla vecchiaia.
Non ti è accordato nemmeno il diritto di un caffè al bar.
La tua è una condanna a vita. Un ergastolo dove non hai diritto neppure all’ora d’aria.
La qual cosa non avviene se tua figlia è femmina. Se hai una figlia, è lei ad avere il dovere di cucinare per te ed assisterti senza staccarsi dal tuo capezzale e se una sventura accade mentre è lontana o uno dei suoi genitori ha un’idea folle e mortale, oltre a dolore e lutto le tocca passare la notte in un carcere, cosa che non capita agli stalkers, non capita agli aspiranti assassini narcisisti e vendicativi ma capita alle donne che per mezza giornata violano l’obbligo morale di assistenza a parenti malati.

martedì 2 luglio 2013

Il relativismo di censura e democrazia nel villaggetto del sessismo globale


Quando conviene saltare a bordo di un grande carrozzone pubblicitario torna conveniente anche volgersi contro altre donne, altre femministe e soprattutto altre vittime di aggressioni mascoliniste, torna conveniente accusarle di censure quando queste perseguono la diffamazione e il diritto di avere giustizia, conviene anche confondere in maniera interessata il diritto alla giustizia col giustizialismo, con l’autoritarismo, con il dispotismo e qualsiasi altra cosa serva a delegittimare chi fa un lavoro ingrato e gratuito come il nostro.
Quando si conferma ancora l’aggressione a blog, siti, pagine che tentano di fare informazione sulla violenza sulle donne, conviene voltarsi dall’altra parte e fare finta di nulla.
E così mi piacerebbe sapere se questa non è censura, non è una campagna di delegittimazione e se, ancora una volta, non siamo autorizzate a denunciarla, quanto meno a chi ci segue.
Mi piacerebbe saperlo da chi adotta due pesi e due misure a favore di chi ci dà il tormento perché io lo so dov’è la giustizia, dov’è la verità dei fatti e ne ricevo ancora conferme.

Ed eccola un’altra conferma.
La segnalazione l’abbiamo ricevuta solo ieri sera.
Ancora una volta, per sottolineare ulteriormente la correttezza di chi scrive, copro il nome del signore che ha deciso di chiedere in giro la segnalazione e la chiusura della nostra pagina, paragonandola pericolosamente a ben altri siti e pagine, totalmente inconsapevole di quanto sia ridicolo il paragone tra noi ed un sito razzista di matrice neofascista. Copro nonostante tutto sia più che pubblico.
Lo faccio anche per tutelarmi al massimo in vista di azioni legali di cui abbiamo il diritto e non accettiamo si metta in dubbio la liceità, seguendo un’ottica garantista solo nei confronti dei prepotenti.
Lo ha fatto commentando un articolo comparso sull’Huffington Post il 9 Giugno scorso dove si parla dell’aggressione subita da una esponente di SEL che ha denunciato la portata razzista del sito “Tutti i crimini degli immigrati”.
È comparso sotto l’articolo sostenendo un parallelo altamente infamante e lesivo della dignità di noi amministratrici della pagina No Alla Violenza Sulle Donne.
Secondo questo signore, ben noto a noi e ad altre bloggers ed attiviste femministe, la nostra pagina pubblica (che definisce inesattamente “gruppo” ) parlerebbe di quanto siano cattivi gli uomini ed inciterebbe all’odio di genere e quindi andrebbe chiusa per lo stesso principio col quale si desidera la chiusura di un sito razzista.
Altri commentatori a noi sconosciuti hanno difeso la nostra pagina e li ringraziamo, anche se hanno sottolineato l’ovvietà che ai mascolinisti, cioè agli attivisti del movimento maschile, sfugge, imbevuti come sono di idee assurde di cui abbiamo parlato molte volte in passato.
Sì, è normale che questi personaggi assurdi facciano un bagno nella realtà ogni volta che interagiscono con uomini normali come il signor Carlo 1 ed il signor Indysuperstar.

Rech huff 1ed

giovedì 20 giugno 2013

La relazione dell’OMS sul femmicidio che ancora una volta smentisce i negazionisti


Quasi tutti i commentari degli spazi che parlano di donne sono presi di mira da branchi di “attivisti per i diritti dei maschilisti piagnucolosi, vittimisti, infantili e prepotenti”, collezionisti di profili falsi che continuano ad usare il trucco del “fake influencer” per sdoppiarsi, triplicarsi, quadruplicarsi e tentare così di annegare le statistiche sul femminicidio.
Il commentario del Fatto Quotidiano è uno dei più appestati, al punto da rendere impossibile ogni scambio normale tra persone comuni. Commentatori e commentatrici “normali” sono in fuga perché la violenza verbale ottiene sempre il suo scopo di scoraggiare le persone che amano poco l’aggressività.
Quello ormai è territorio dei prepotenti che si organizzano in gruppi sui social network dove si fomentano a vicenda raccontandosi di quella volta che la perfida ex moglie osò denunciarli per un piccolo, innocente, pugno in faccia e via così. Sono personaggi convinti che la vera violenza stia nella denuncia e non nell’atto che ha provocato la denuncia, tanto per loro la violenza sulle donne non esiste e se esiste è meritata.
Sbucano puntualmente in difesa di assassini e stupratori anche condannati in via definitiva ma guai poi a chiamarli complici o a sospettare della loro empatia verso pedofili, stupratori ed assassini, altrimenti si viene insultat*, accusat*, diffamat*, copert* di escrementi del pensiero di qualche aspirante starlette del post-femminismo che con questi ci ha collaborato e forse ha guadagnato visibilità e maggiore tranquillità nel passare dalla parte delle vittime alla parte degli squadristi del patriarcato.
Per non dare loro altro spazio, ribloggo un interessante post di Donne di Fatto, la “quota rosa” del Fatto Quotidiano e approfitto per sollecitare una migliore moderazione dei commenti da parte dello staff perché non ha senso  destinare uno spazio alla questione femminile se questo spazio è poi reso impraticabile.

L’articolo riporta una ricerca dell’OMS pubblicata su The Lancet, prestigiosa rivista medica internazionale, alla quale sono dedicati un articolo, un’analisi, un editoriale ed un podcast.
Una delle obiezioni dei commentatori mascolinisti è che l’OMS non nomini il femminicidio. Il fatto che l’OMS non definisca “femminicidio” l’uccisione di donne in quanto donne non vuol dire che ne neghi l’esistenza. Il femminicidio è una categoria criminologica che, pur esistendo da tempo immemore, solo di recente è stata analizzata, estrapolata e presentata al pubblico.
Consiste ugualmente in una sottocategoria dell’omicidio e in una sottocategoria dell’omicidio dove la vittima è di sesso femminile. Il termine “sottocategoria” non deve farci pensare ad una minore importanza ma solo ad una classificazione della tipologia dei delitti.
Ora, non importa che l’OMS lo chiami femicidio o femminicidio o omicidio. L’importante è che arrivi un’altra conferma delle proporzioni della violenza sulle donne nel mondo e di come questa violenza sia perpetrata in misura preponderante come ritorsione da partners ed ex partners mentre, al contrario, la percentuale della violenza femminile sugli uomini perpetrata da partners ed ex partners è inferiore di ben 6 volte. L’articolo conclude precisando anche che la percentuale è calcolata per difetto, venendo spesso a mancare notizia dei legami tra assassino e vittima. Io ricordo che il femminicidio resta l’assassinio della donna in quanto donna, quindi non solo ad opera di partners ed ex partners ma anche ad opera di sconosciuti se il delitto è la conseguenza di uno stupro o se è commesso nei confronti di una prostituta. Rientrano nel femminicidio anche il neonaticidio e l’infanticidio delle bambine, in poche parole ogni delitto che colpisca una donna sulla base della sua collocazione obbligata determinata dalla sua subordinazione al mondo patriarcale.
La ricerca è integrata da un pdf e accompagnata da una nutrita bibliografia nella quale compare più volte il termine “femicide”.
La ricerca è completamente accessibile solo agli utenti registrati al sito della rivista.

domenica 16 giugno 2013

Gli uomini (maschi) che chiedono la depenalizzazione di stupro di branco e femminicidio



Segnalazione:
Un articolo su un quotidiano online (che non riporto per tutela assoluta della privacy) racconta dell’esecuzione sommaria di due (tre secondo altre fonti) presunti stupratori ed assassini di una donna ragazza messicana di 24 anni, Fidencia Sántiz Lopez, originaria di Oxchuc.
Potete immaginare sotto l’articolo la massa di commenti del più feroce forcaiolismo.
Sì, hanno stuprato in gruppo e poi ucciso una ragazza di 24 anni. Non so immaginare niente di più tremendo perché è uno dei milioni di femminicidi del mondo, tutti simili tra loro.
Mi immedesimo, io sento il terrore di questa ragazza che è lì, umiliata, violata, picchiata, terrorizzata…terrorizzata…cosa dev’essere morire con il terrore negli occhi, nella testa, morire durante o dopo uno stupro, per di più uno stupro di branco?
Tanti invocano la pena di morte, tanti invocano lo stesso dolore. Altrettanti invocano la civiltà sulla barbarie, invocano di non macchiarsi degli stessi crimini di quei due o tre mostri.
Mostri presunti perché sono stati individuati come gli autori del femminicidio dalla gente locale e non hanno ricevuto neppure un processo. È lecito chiedersi se fossero davvero i colpevoli. I colpevoli perché uno stupro di branco con femminicidio non si simula. Non si può fingere di essere morte e davanti ad anche un medico non si può fingere neppure uno stupro di branco. Quindi il crimine c’è stato, resta solo da provarne le vere responsabilità e forse non si potrà mai più.

Tra tutti i commenti salta fuori questo.
Drag-ed

Sarò buonissima. Nonostante sia un commento pubblico in un articolo pubblico, copro il nome per tutelarlo da altre possibili gogne ma sono andata a vedere il profilo di questo signore ed è iscritto ai peggiori gruppi machovittimisti di Facebook, in ottima compagnia con i peggiori soggetti invasati di fanatismo misogino, di rancore, di odio, della convinzione di essere angariati dalle ex mogli,  dalle ex fidanzate che hanno osato violare la loro maestà. Insomma, parlo della solita banda di talebani italiani, quelli che vivono per negare i dati sulle violenze e anteporre i loro graffietti e le loro angosce finanziarie ai cadaveri di donne disseminati in giro dai loro degni compari.
Degni compari sì perché sono da loro difesi, come in questo caso.

Mr X dice di non essere una bestia e sicuramente non sarà crocifisso da post-femministe per avere usato un termine specista. Non sono state altrettanto fortunate persone di gran lunga più civili che hanno osato indignarsi a caldo per una notizia di violenza, purtroppo. 
Lui non è una bestia. Lui è così civile che invoca la coalizione maschile contro le donne stuprate e uccise. Pensate un po’ se fosse stato incivile cosa avrebbe scritto!
Ad ogni modo nemmeno per me è una bestia. Per me è peggio.
Chiede la solidarietà reciproca degli uomini (maschi), cioè degli uomini maschilisti contrapposti agli uomini che condannano la violenza sulle donne e che da questi estremisti sono definiti uomini-femmina (mettetelo tra parentesi o col trattino, come vi pare). La chiede sotto la notizia del linciaggio di tre presunti stupratori di branco che hanno ucciso una ragazza di 24 anni dopo averla torturata (perché lo stupro è quello,  non è piacevole come s’immaginano gli aspiranti stupratori). Invoca la solidarietà maschile contro il genere femminile, reo di essere troppo difeso, secondo lui, al punto che uno stupro è considerato peggio dell’omicidio. Questa è la percezione mascolinista dello stupro: i mascolinisti pensano davvero che lo stupro sia punito con pene superiori all’omicidio. Questa è la percezione mascolinista di uno stupro di branco. Per il mascolinista anche lo stupro di branco è una passeggiata di salute per una donna. “E poi le punizioni vengono fomentate dalle stesse donne che mai come oggi agiscono nell’impunità più totale”, cioè secondo lui lo stupro non c’è stato. Anche questa volta la malefica creatura del demonio, la femmina, sarebbe riuscita a far cascare tutti nel suo malvagio tranello e a farsi passare per morta uccisa.
Non gli sovviene neppure che la società sia già creata e gestita a misura di uomo maschio. Non gli sovviene che per millenni la donna sia stata trattata alla stregua di un animale domestico. Non gli sovviene neppure che questi stupratori si sono uniti nel buon nome del maschilismo, come altri branchi di stupratori fanno ogni giorno in qualche zona del mondo, in pace come in guerra.
Non gli sovviene che quello sia il Messico, famoso per Ciudad Juarez e la sua sfilza di centinaia di croci rosa.

Quindi, uomini maschi, unitevi per la depenalizzazione dello stupro di branco e del femminicidio in nome della solidarietà maschile e di una resistenza contro lo strapotere delle donne, che osano farsi passare per stuprate e ammazzate continuamente. Depenalizzate la violenza sulle donne e il femminicidio, unitevi nella vostra guerra contro il comune nemico.
E che cazzo, non si può manco più prendere una fighetta sfrontata dalla strada, sbatterla a terra, spogliarla, picchiarla, stuprarla tutti insieme e poi ammazzarla! E  che inciviltà è mai questa! S’è mai visto tanto strapotere femminile? Questo scempio deve cessare. Le donne devono capire che lo stupro e il femminicidio sono dovuti all’uomo maschio e non vanno denunciati, anzi, se si sopravvive, tanti complimenti per la splendida prestazione erotica e magari pure lo scambio di numeri di telefono.

Ne deduco che quando gli stessi personaggi mi augurarono lo stupro di branco mi stessero mandando un complimento.

E poi dicono che noi ne parliamo male…

lunedì 3 giugno 2013

Le Iene sullo stupro: questa non è informazione, è violenza. Direttore, rispondi

Aderisco all’iniziativa de La rete delle reti femminili. E pubblico:
Al Direttore di rete Luca Tiraboschi
E, per conoscenza: Redazione di Le Iene • redazioneiene@mediaset.it
SLC – Sindacato dei Lavoratori della Comunicazione • segreteria.nazionale@slc.cgil.it
al segretario Francesco Aufieri
Egregio Direttore,
ultimamente un notissimo programma di intrattenimento e informazione di Italia1, Le Iene, reso molto popolare da servizi di denuncia che portano alla luce episodi di ingiustizie, truffe e corruzione, si è reso (inaspettatamente) portatore di contenuti fuorvianti e pericolosi riguardo alla percezione del tragico fenomeno della violenza di genere.
Al punto di raccogliere l’idea, sostenuta da alcuni, che le denunce presentate dalle donne contro violenze sessuali e domestiche, o atti di pedofilia, sia in gran parte “falsa”, addirittura indotta da un presunto malcostume femminile di denunciare “falsi abusi” al puro scopo di fare dispetti a persone di sesso maschile o di ricattare i rispettivi compagni.
Un’idea rivoltante, che nessun riscontro ha nella realtà, e che comporta il gravissimo pericolo di alzare ulteriormente il tasso di misoginia in un paese che vanta già un tristissimo primato nel continuo susseguirsi di femminicidi.
Un’idea che fa capolino anche in un servizio dall’eloquente titolo “Stupro.. o sesso?”
http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/392733/casciari-sesso-o-stupro-.html
presentato nella puntata del 2 giugno, in cui si mette in dubbio una sentenza di colpevolezza per stupro aggravato, senza alcun elemento serio. Dunque sulla base di cosa? Del parere dei due condannati.
Un servizio che ci ha profondamente indignato. I due uomini, condannati a 5 anni per stupro di gruppo e lesioni personali aggravate, hanno potuto dichiarare, davanti a milioni di persone, che la sentenza è persecutoria in quanto basata praticamente sul nulla: loro sono innocenti, in quanto adescati da una donna che ha richiesto di far sesso con loro. Cioè il quadro è esattamente lo stesso fornito eternamente dagli accusati, in tutti i processi per stupro che si rispettino: le vere vittime sono loro, mentre il colpevole è chi denuncia lo stupro. Una donna colpevole di calunnia e di avere ingiustamente devastato la loro vita di bravi ragazzi e lavoratori.
In nessun conto sono tenute le lesioni riscontrate dalla vittima al pronto soccorso: abrasioni agli arti, ecchimosi diffuse in tutto il corpo e sul volto. Secondo l’autorevole parere degli intervistati la ragazza se li è procurati nella passione di un atto consenziente: girandosi più volte nell’erba, e poi stava carponi sul terreno, è normale che avesse dei graffietti sulle ginocchia.
E perché la ragazza avrebbe deciso di affrontare un processo per stupro?
perché il giorno dopo si sarà pentita: di cosa? della sua intraprendenza sessuale, e avrà voluto dimostrare che non era colpa sua, andando così a denunciare i due sconosciuti al solo scopo di danneggiarli.
E cosa avrebbe giustificato un servizio che, oltre a colpevolizzare una vittima, infanga il lungo e paziente lavoro degli inquirenti? Inesistenti risvolti oscuri.
In conclusione, il conduttore commenta la vicenda adombrando che questa sentenza non convince, e conclude dicendo: non esprimiamo giudizi, ma aspettiamo l’esito del processo di appello.
Si, anche noi. Con fiducia verso la magistratura, che non pensiamo metta in atto strategie persecutorie verso il genere maschile.
Ultimo, e non meno importante: i processi si devono fare solo nelle aule di giustizia, dove sono valutati gli elementi reali per farli. Non in tv, per giunta dando la parola ai soli accusati.
Ferme tutte le garanzie costituzionali a difesa degli imputati e delle vittime, la giustizia “fai da te” suggerita in questo servizio delle Iene è inaccettabile nella tesi adombrata, e anche nel metodo, gravemente scorretto.
Pensiamo che il programma e i responsabili di rete si debbano scusare, e sconfessare senza reticenze simili contenuti e la filosofia che vi è sottesa.
Noi, invitando a una maggiore vigilanza nella qualità dei messaggi, e negli esiti che possono avere, chiediamo le scuse formali del programma e dei responsabili di rete.
3 giugno 2013
LE IENE-LO STUPRO

lunedì 20 maggio 2013

#Ti saluto

tisaluto_grande-547x1024In Italia l’insulto sessista è pratica comune e diffusa. Dalle battute private agli sfottò pubblici, il sessismo si annida in modo più o meno esplicito in innumerevoli conversazioni.
Spesso abbiamo subito commenti misogini, dalle considerazioni sul nostro aspetto fisico allo scopo di intimidirci e di ricondurci alla condizione di oggetto, al violento rifiuto di ogni manifestazione di soggettività e di autonomia di giudizio.
In Italia l’insulto sessista è pratica comune perché è socialmente accettato e amplificato dai media, che all’umiliazione delle persone, soprattutto delle donne, ci hanno abituato da tempo.
Ma il sessismo è una forma di discriminazione e come tale va combattuto.
A gennaio di quest’anno il calciatore Kevin Prince Boateng, fischiato e insultato da cori razzisti, ha lasciato il campo. E i suoi compagni hanno fatto altrettanto.
Mario Balotelli minaccia di fare la stessa cosa.
L’abbandono in massa del campo è un gesto forte. Significa: a queste regole del gioco, noi non ci stiamo. Senza rispetto, noi non ci stiamo.
L’abbandono in massa consapevole può diventare una forma di attivismo che toglie potere ai violenti, isolandoli.
Pensate se di fronte a una battuta sessista tutte le donne e gli uomini di buona volontà si alzassero abbandonando programmi, trasmissioni tv o semplici conversazioni.

lunedì 13 maggio 2013

Se muoio ammazzata, muoio da donna autodeterminata

Autodeterminazione. Cosa sarà mai?
Alla svelta, dalla Treccani on line, “autodeterminazione” in filosofia significa:

Atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, in opposizione a ‘determinismo’, che assume la dipendenza del volere dell’uomo da cause non in suo potere. L’a. è l’espressione della libertà positiva dell’uomo e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione. Se tu sei la sola responsabile delle tue azioni e ti autodetermini, essere uccisa come può essere autodeterminazione?
Il suicidio è un atto di autodeterminazione. Incaricare qualcuno di ucciderti o praticarti un’eutanasia è autodeterminazione, anche se la legge non la riconosce come tale.
In effetti ho sempre polemizzato con l’obbligo di indossare le cinture di sicurezza o col diritto al suicidio: se voglio farmi male, è una scelta mia.
Ma ero una ragazzina. Poi mi hanno fatto capire che chi si fa male va a pesare sul bilancio del servizio sanitario pubblico e pure costringere altri a pagare perché tu vuoi fare il cazzone e buttarti dal balcone dell’albergo direttamente in piscina non è giusto né del tutto autodeterminante.
Pure ammazzarti e lasciare moglie e figli da soli è qualcosa di più dell’autodeterminazione.

Un assassinio è la somma, estrema sovradeterminazione.
Ci vuole veramente lo stretto indispensabile della logica per capire un concetto così banale
e per accorgersi di stare palesemente scrivendo una s..sciocchezza contraddittoria e priva di significato così, tanto per masturbarsi pubblicamente (masturbarsi, cito Woody Allen, è sesso con una persona che si ama e se ci si ama proprio esageratamente, al punto da credersi un fulcro, una droga, una sacerdotessa, ci si masturba pubblicamente per la gioia di comunicare urbi et orbi l’amor proprio smisurato).

Autodeterminazione a senso unico: i difetti sono vostri, io sono perfetta

Ma, dico io, come si fa a paragonare Carlo Giuliani alle donne uccise dai figli malati di mente?
Carlo Giuliani non è stato ucciso in quanto maschio. Al suo posto poteva esserci una donna, com'è già capitato a Giorgiana Masi.
Quando la vittima può essere indifferentemente uomo, donna, (e non intendo necessariamente eteorsessuali), minotauro, manticora o chimera, non è "femminicidio".
Il "femminicidio" non è un brand. Se qualcuno sta tentando di farcelo diventare, la colpa non è delle femministe (che non sono donniste, a proposito. Donnista è la Santanché. Se mi si dà della donnista lo si fa perché mi si vuole chiaramente e sfacciatamente insultare, sminuire, delegittimare, sovradeterminare. E io lo considero un insulto, anche perché so da dove viene e quanto disprezzo coli su chi appare tra i piedi sulla strada verso la fama).
Se adesso si arriva persino alla negazione del femminicidio solo per fare un dispetto puerile ad altre donne considerate "rivali" (la rivalità è tutta negli occhi delle malate di protagonismo che la vedono, quelle che la diffamazione subita da altre donne la chiamano "microfama", arrivando ad invidiarti persino quando il tuo nome è rubato e diffuso in rete accostato a gigantesche bugie e pestaggi virtuali con auguri di stupro di gruppo, e poi ti danno della diffamatrice senza uno straccio di base perché pensano che tanto tu non quereli e se lo fai sono già pronte a darti dell' "autoritaria"), vuol dire che il fondo è arrivato.
Femminicidio è la negazione sistematica della persona femminile attraverso violenza fisica, verbale, sociale. Femmicidio è l'assassinio fisico. In entrambi i casi connota una persecuzione, voluta o consequenziale, verso la donna (etero o lesbo o bisex o asessuata, neonata, bambina, ragazzina, adulta, anziana) in base ai ruoli che all'essere umano femminile sono stati imposti fin dalla notte dei tempi. Anche il ruolo di cura.
Da nessuna parte ho scritto o contato come femminicidio  il pazzo X che incontra la donna Y e la fa fuori in strada. Mi pare ovvio che il pazzo X non risponda delle proprie azioni e scelga la vittima a caso (tranne casi particolari perché non sono una sputasentenze. A me piace analizzare, ricevere e sono una possibilista).
Ho elencato madri uccise da figli con problemi psichiatrici perché quando un malato psichiatrico è abbandonato dallo Stato perché tanto c’è la mamma, cari miei e care mie, questo è pure un femminicidio annunciato.
In questo anno non ci sono stati pazzi X che abbiano ucciso donne Y.
Ci sono stati figli malati che hanno ucciso madri che facevano loro da infermiere obbligate.
Del resto la critica viene da chi ha dato per scontato che Vantaggiato avesse messo la bomba con il preciso scopo di fare vittime femminili, per non parlare dei casi di suicidi femminili fatti passare per femminicidi e corretti dopo l’invio di un mio messaggio.
Sì, perché evidentemente c’è chi sa scrivere ma non sa leggere.

martedì 12 marzo 2013

Hai mai visto un uomo che picchia una donna in pubblico?

Sono reduce della visione di questo video shockante, che consiglio solo alle persone in che si reputano in grado di reggere alla scena.
Si vede un uomo camminare avanti e indietro in una delle zone di riposo dei centri commerciali, poi fermarsi accanto ad una donna seduta su di una panchina, dirle qualcosa e subito partire in un assalto a schiaffi, calci, trascinamento per i capelli, colpi contro la testa. Poi una pausa, poi l’assalto ricomincia e la donna perde sangue dal naso o dalla bocca e sembra passiva, rassegnata.
Tutto avviene nella più totale indifferenza dei passanti, sotto una telecamera di sicurezza.
La didascalia riporta che il fatto è avvenuto in un centro commerciale di Jesenik, nella Repubblica Ceca. I motivi dell’assalto sono sconosciuti e l’aggressore è stato arrestato ed ora va incontro ad una condanna fino a 10 anni di prigione.  Il portavoce della polizia è rimasto inorridito dal grande numero di passanti che hanno assistito all’attacco ma non hanno chiamato la polizia (che invece è stata chiamata dagli addetti alle telecamere a circuito chiuso.

venerdì 8 marzo 2013

Felice 8 Marzo a tutte. Una raccolta di auguri da Facebook

Quello che segue è un rapido collage di una parte dei commenti a corredo dell’intervista ad una presunta prostituta autonoma. Intervista che un importante quotidiano ha tenuto in caldo due giorni in attesa dell’agognato 8 Marzo.
insulti prostituta 1

Ohibò, e prima si chiamavano “battone”, “mignotte”, “puttane”, “troie”, “zoccole”, com’è quest’improvvisa voglia di nobilitarle con il termine di “escort” o quel termine inglese, aspetta…com’era? Ah, si…”sex workers”. E chiamatele come meritano, no?
Poi stavano nell’ombra, si aggiravano furtive, mascherate, per non diffondere il contagio della loro putrida moralità.
Oggi le intervistano giornaliste senza vergogna, ché intervistare una prostituta dev’essere motivo di vergogna.