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venerdì 10 febbraio 2012

Le donne italiane? Una massa di sfaticate!

Mi imbatto in questo articolo che riporto di seguito, piuttosto curioso, sul sito che ha copiato il nome al blog originale (http://comunicazionedigenere.wordpress.com/).
Prima di tutto è interessante l’idea di copiare il nome di un conosciuto blog femminile che indaga sulla discriminazione contro le donne nel mondo della comunicazione per farne un sito dove, invece, si diffonde l’idea che la donna italiana stia lì a lamentarsi di nulla e sia una sfaticata.
Particolarmente interessante, poi, è la soluzione prospettata: imporre l’affido condiviso, abolire il mantenimento, gli alimenti, eccetera eccetera.
Evidentemente l’affido condiviso deve essere un nuovo sistema per creare posti di lavoro.
Ci stupiamo che non ci abbia pensato nessuno prima, da Prodi a Monti, passando per Berlusconi.
Tu, ex marito, smetti di pagare il mantenimento ai tuoi figli, ti prendi la casa coniugale, se tua moglie non ha introiti economici le sospendi pure gli alimenti e puff! nasce un posto di lavoro per lei che le consenta di pagarsi una casa e mantenere i figli.
E poi, certo, l’economia di questo Paese la risolveranno le donne divorziate, ovvio. Delle altre che ce frega? Tanto finché io, maschio separato, non devo mantenerla, disoccupata o meno non sono problemi miei. Giusto?
Qui il testo dell’articolo in questione:


ONU: Italia quasi prima per parità fra i sessi, ma le donne italiane non lavorano

Posted on 2 novembre 2011 by Corrispondente

Secondo il rapporto “Sostenibilità ed equità: un futuro migliore per tutti”, stilato dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) l’Italia è quasi prima al mondo per la parità fra i sessi: solo 6 paesi hanno un più basso valore dell’indice per la diseguaglianza di genere (GII, Gender Inequality Index):

1a posizione) Olanda con un minimo tasso di diseguaglianza dello 0.17
2a posizione) Danimarca e Svezia, 0.21
4a posizione) Svizzera, Singapore, Norvegia, 0.24
7a posizione) Italia, Belgio, Germania, Finlandia, 0.25
Ultimo lo Yemen con 0.84.

L’indice si compone di diverse voci e l’Italia è messa male nella voce “rapporto donne/uomini nella partecipazione alla forza lavoro”, come evidente dal grafico relativo tratto dal sito web pubblico dell’UNDP:

In sostanza le donne italiane lavorano il 33% in meno degli uomini italiani. Per confronto, il grosso blob giallo nel grafico è la Cina, paese popoloso nel quale le donne sono più operose ma vengono discriminate.

L’Italia è quindi penalizzata da una diseguaglianza di genere al contrario (a favore delle donne sfaticate). Il primo rimedio sarebbe abrogare tutti gli assegni di mantenimento ed applicare la legge sull’affido condiviso e sul mantenimento diretto dei figli, in maniera da incentivare al lavoro anche le donne che preferiscono farsi mantenere.

Ed infatti disastrosa, se non anche criminale, è la diseguaglianza sessista imposta dai Tribunali — coloro che dovrebbero rispettare la legge:

  • L’87% delle donne separate prende la casa coniugale;
  • Il 92% delle madri separate “prende” i figli;
  • Il 93% dei suicidi post-separazione sono ad opera di uomini;
  • Solo il 4% delle donne paga un assegno di mantenimento.

Per interpretare correttamente le statistiche, occorre fare attenzione alle femministe che conteggiano la sig.ra Veronica Lario (donna disoccupata ma con ricco mantenimento) come discriminata rispetto al sig. Rossi (uomo occupato), metalmeccanico che vive in un dormitorio di padri separati per mantenere la ex.

ONU: Italia quasi prima per parità fra i sessi, ma le donne italiane non lavorano | Comunicazione di Genere

Cominciamo col dire che tutti i cerchietti verdi riportano le nazioni occidentali e che tra le nazioni occidentali non si vede come si faccia ad essere sesti.
Ci piacerebbe davvero tanto che l’Italia fosse “quasi prima” (ovvero sesta secondo il testo, e sesta non significa quasi prima ma sesta, se proprio vogliamo essere fiscali) al mondo per parità dei sessi ma non ci sembra proprio sia così.
A parte l’esperienza generale e quella percepita, io qui vedo un’altra tabella sullo stesso sito.
Qui si dice che, confrontando le ricerche di UNICEF (2011), UNDESA (2011), IPU (2011), Barro and Lee (2010), UNESCO (2011) ed ILO (2011), l’Italia risulta ventiquattresima al mondo, dopo Hong Kong, Korea ed Israele e in coda nei risultati delle altre nazioni europee.
http://hdrstats.undp.org/en/indicators/68606.html
Qui la trovate in pdf : http://hdr.undp.org/en/media/HDR_2011_EN_Table4.pdf
In particolare, nel ranking totale l’Italia occupa il ventiquattresimo posto. Il ranking relativo all’indice di diseguaglianza di genere per quanto riguarda il 2011 ci vede al quindicesimo posto e la forza lavoro femminile attiva è il 38,4% sul totale della popolazione femminile nazionale.
Secondo il World Economic Forum (
http://www.weforum.org/) o Forum Economico Mondiale, che dir si voglia ( e cosa sia lo potete leggere qui : http://it.wikipedia.org/wiki/Forum_Economico_Mondiale), l’Italia si piazza al desolantissimo
settantaquattresimo posto e qui potrete leggere il relativo dato in pdf: (
http://www3.weforum.org/docs/GGGR11/GGGR11_Rankings-Scores.pdf).
Le ricerche sullo stato dell’occupazione femminile abbondano ma di certo nessuno prima s’era permesso di sostenere che il tasso di occupazione femminile sia basso a causa della poca voglia di lavorare delle donne italiane.
Prendo un esempio qualsiasi, super partes, scritto, cioè, da mano maschile:
(http://www.portalecnel.it/Portale/IndLavrapportiFinali.nsf/vwTuttiPerCodiceUnivoco/4-1/$FILE/4%20-%20OFFERTA%20DI%20LAVORO%20E%20OCCUPAZIONE%20FEMMINILE%20-%20PARTE%20I.pdf)

In particolare, qui si dice che:
”Nonostante sia molto aumentata negli ultimi anni, la partecipazione al lavoro delle
donne in Italia rimane la più bassa dell’Unione Europea. Ciò si deve principalmente
all’infimo tasso di occupazione delle donne poco istruite in particolare nel Mezzogiorno;
infatti, le diseguaglianze regionali, per età e livello di istruzione sono molto forti e in
aumento. Il part-time ha dato un grande contributo al recente aumento dell’occupazione
delle donne meno istruite, ma è ancora poco diffuso. Nonostante la caduta della fertilità,
l’abbandono del lavoro delle madri è molto frequente per le gravi difficoltà della
conciliazione, che si affida per lo più all’aiuto dei nonni. Tra le donne è cresciuta più
l’occupazione dipendente di quella indipendente, ove sono crollate le coadiuvanti e
aumentate le professioniste e le atipiche, sicché si afferma la tendenza alla polarizzazione
tra stabilità (pubblico impiego) e precarietà (tempo determinato, collaborazioni). La
segregazione orizzontale rimane bassa, mentre quella verticale è tuttora importante,
soprattutto per i percorsi di carriera. Il gender pay gap è apparentemente ridotto a causa
dell’ancor forte selezione per livello di istruzione delle donne occupate, ma la reale
penalizzazione retributiva non differisce da quella media europea e dipende largamente da
un effetto di discriminazione.”

"Quanto al recente aumento dell’occupazione delle donne over
50 anni, si può pensare che, da un lato, sia stato incentivato, come per gli uomini, dalle
riforme pensionistiche, ma, dall’altro, sia stato frenato dalla crescente presenza di persone
anziane bisognose di cura.”

“Secondo l’indagine Isfol-Plus nel Centro-nord la maggioranza
delle donne abbandona perché deve prendersi cura dei figli o per altri impedimenti
familiari, mentre nel Mezzogiorno le esigenze di cura vengono soltanto al secondo posto,
mentre al primo vi sono motivi legati alla debolezza del mercato del lavoro: fine di un
lavoro temporaneo, chiusura della ditta, licenziamento, condizioni di lavoro non
soddisfacenti [Cnel 2006]. Ciò costituisce un’ulteriore conferma dell’importanza della
scarsità della domanda di lavoro per le donne nelle regioni meridionali, in particolare per
quelle poco istruite.”

Quindi la condizione lavorativa delle donne italiane è legata al grado di istruzione, all’età, alle condizioni familiari ed alla localizzazione geografica: le donne sopra i 50 anni e poco scolarizzate nel sud della penisola sono le meno occupate in assoluto, proprio nelle regioni nelle quali si divorzia meno, tra l’altro.

Prendiamo un’altra fonte, stavolta basata sui dati Istat:
(
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002349.html)
”Le madri, anche quelle occupate, dedicano oggi meno tempo al lavoro domestico e più tempo alla cura dei figli sotto i 13 anni. Il risultato è che, quando entrambi i partner sono occupati, in un giorno medio settimanale la donna lavora oltre un’ora e mezzo più del suo partner, con un’ora e dieci minuti di tempo libero in meno.
Ed è ancora una peculiarità dell’Italia proprio il fatto che le donne lavorino in totale ben più degli uomini: nella maggior parte dei paesi avanzati, invece, se si somma il tempo per il lavoro remunerato con il tempo di lavoro non remunerato, si arriva a valori simili tra uomini e donne.
L’ammontare di tempo dedicato al lavoro familiare dalle donne rappresenta la differenza più grande fra uomini e donne nell’uso del tempo quotidiano e influenza l’organizzazione di tutti gli altri tempi di vita. Se è vero che in tutti i paesi i tempi di vita di donne e uomini sono diversi in corrispondenza della fase riproduttiva, tuttavia, le differenze tra i paesi sono considerevoli e in Italia le disparità tra uomini e donne sono maggiori che negli altri paesi europei in tutti gli stadi del corso di vita. La forte diminuzione di ore di lavoro per il mercato delle madri italiane, e viceversa l’aumento di ore dei padri subito dopo la nascita di figli, non è riscontrabile in nessun altro paese, dove l’offerta di lavoro per il mercato sembra indipendente dalla composizione familiare. L’Italia è anche l’unico paese dove il tasso di occupazione femminile non risale quando i figli sono più grandi.”

Quindi risulta esattamente il contrario. Le donne italiane lavorano più dei loro partners e più delle donne europee ma, semplicemente, il loro lavoro non è retribuito, trattandosi per lo più di lavoro domestico e cura parentale.
Infine  il precariato colpisce giovani e donne molto più di quanto colpisca uomini adulti: (
http://www.jobmeeting.it/magazine/giovani-e-lavoro/il-precariato-e-donna-0612924).
Chissà poi dove prendono le statistiche interessate a mettere in cattiva luce le madri italiane ed a presentare i padri separati come vittime? Come mai si ricordano dei suicidi maschili (ma i quotidiani riportano solo di uomini che si suicidano per la disperazione della disoccupazione e qualche ragazzo lasciato dalla fidanzata, oppure gli omicidi-suicidi con cui non conviene vittimizzare il genere maschile) ma mai la strage quasi quotidiana di donne?
Le statistiche ISTAT, poi, presentano una situazione ben diversa dai dati messi lì senza fonti, su un sito tutto “fatto, cotto e mangiato” dalle stesse persone per portare acqua al proprio mulino. L’ISTAT ci dice che il 72,1% dei divorzi è consensuale, quindi non conflittuale e che l’affido condiviso è applicato nell’86,2% dei casi (al 2009, al più le percentuali saranno cresciute, non certo ribaltate). L’affido esclusivo alle madri avviene solo nel 12,2% dei casi.( http://www.rivaluta.it/istat/separazioniedivorzi-2009.htm).
Il fatto che solo il 4% delle donne italiane sia obbligato a pagare gli alimenti all’ex coniuge avviene perché solo il 4% delle donne italiane divorziate guadagna più del marito al punto da rientrare negli obblighi di mantenimento del partner che, ricordiamo, non sono imposti a tutti, a differenza del mantenimento dei figli che nessuno dovrebbe volere o potere eludere ma che spesso, invece, viene eluso con un gran numero di cosiddetti “padri” che spariscono all’orizzonte o diventano immediatamente nullatenenti lasciando tutto il carico dei figli sulle madri.
E questo sì che si direbbe “cornuta e mazziata”, considerando anche che la maggioranza dei divorzi burrascosi avviene per colpa e quindi in conseguenza del tradimento o di violenza e che statisticamente anche in questo caso gli uomini riescono ancora a batterci.
Splendido, poi, il tocco artistico finale che prende come esempio la signora Veronica Lario, ex moglie dell’ex premier, e la mette a confronto con l’operaio medio, dando ad intendere che la casalinga di Voghera media riceva alimenti milionari come Veronica Lario, quando nella realtà la madre separata italiana media è la categoria economicamente più disagiata.
Tutto ciò è più che offensivo e denota una marcata misoginia, una rabbia latente e pervasiva, la volontà di danneggiare le donne e di alimentare l’odio di genere attraverso la diffusione di informazioni false.

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