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mercoledì 22 febbraio 2012

La gogna mediatica. Ma non era illegale?

gogna

Evidentemente, idee migliori non ne sono poi arrivate perché la qui citata pagina, che ha sempre messo alla gogna femministe, donne in generale ed attivisti antipedofilia, ha continuato imperterrita nel suo lavoro di ricamo, distorcendo le situazioni a proprio vantaggio. Presente ovunque, pronta a leggere qualsiasi cosa venga scritta dai propri critici  o a proposito dei propri critici e prontissima a metterli alla gogna o berlina, che dir si voglia.
Ed ecco qui, puntuale come ogni giorno, ma stavolta ancora più dettagliata nelle sue fantasie.
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Ecco alla gogna la femminista.
gogna 3

Ed ecco alla gogna l’operatore anti-pedofilia, o volgarmente detto dagli “sterminatori di femministe” “ abusista” in contrapposizione al neologismo “falsabusista” che contraddistingue i cultori della nuova moda dei “falsi abusi”, ovvero coloro che considerano falsi il 99% dei casi di denunce per pedofilia.

Male male male. L’amministratore della pagina sopra riportata sa copincollare ma non sa interpretare, probabilmente.
Articolo 595cp “ Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la
multa fino a euro 1032.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065.
Se l'offesa è recata col mezzo della
stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516. “

“I diritti di cronaca e critica trovano fondamento nell'articolo 21 della Costituzione, che sancisce che Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Per risolvere la presunta antinomia di norme fra l'articolo 21 della Costituzione e gli articoli 594 e 595 del codice penale (norme che tutelano anch'esse un bene di rango costituzionale quale l'onore, espressione della personalità umana tutelata dall'articolo 2 della stessa Costituzione) si fa generalmente riferimento alla nozione di limite del diritto.

In particolare, la giurisprudenza, con una lunga opera di interpretazione, ha elaborato dettagliatamente i limiti di operatività del diritto di cronaca; le condizioni, cioè, necessarie affinché il reato di diffamazione venga scriminato dalla causa di giustificazione in discorso. In sintesi, perché operi la scriminante, è necessario: a) che vi sia un interesse pubblico alla notizia; b) che i fatti narrati corrispondano a verità; c) che l'esposizione dei fatti sia corretta e serena, secondo il principio della continenza.

Per quel che concerne il diritto di critica, invece, definito come libertà di esprimere giudizi, valutazioni e opinioni, la dottrina e la giurisprudenza prevalente ricostruiscono le stesse condizioni adattandole alla peculiarità del caso. In particolare, sul requisito della verità, se la critica riguarda un fatto è necessario che soltanto quello sia vero, non potendosi pretendere ontologicamente la verità su opinioni e valutazioni. Viene, tuttavia, richiesto che la critica non si spinga sino ad arrivare all'offesa ed all'umiliazione pubblica dei propri avversari.”

Ora, dedurre chi vi sia dietro determinati scritti e determinate pagine non è un lavoro che compete alla sottoscritta ma alle autorità, per cui evito di lanciarmi in accuse circoscritte con tanto di nomi e cognomi.

Ora mi pongo una domanda: è mai possibile che ci possano essere personaggi che  imperversano da un decennio abbondante su internet facendo ciò che gli pare e dicendo ciò che gli pare di chiunque ma che appena vengano vagamente contraddetti partano con la gogna nel vero senso della parola, cioè esibendo pubblicamente personaggi privi di rilevanza pubblica ( e quindi di interesse generale), attribuendogli fatti e circostanze false e con intenti diffamatori?

Com’è che qualcuno ha il diritto di spiattellare in rete nomi privati ed accostarli a fatti completamente campati in aria ma si riserva il diritto di minacciare querele per chiunque osi anche solo vagamente difendersi riportando dati reali con tanto di prove, addirittura reperite dalla stessa documentazione pubblicata nei loro siti?

E qui parliamo di documenti ufficiali e non di chiacchiere da bar. Parliamo di richieste di rinvio a giudizio con firme di Pubblici Ministeri, non degli sproloqui di una signora arcinota per avere il vizio di attaccare chiunque da anni blaterando assurdità e poi finendo ricoverata sotto le cure di psichiatri.

Facciamo un esempio:
mettiamo il caso che ci sia un signore su in rete, un signore che risulti rinviato a giudizio con una querela ed un’integrazione di querela per maltrattamenti sulla ex moglie.
Mettiamo il caso che questo signore abbia spiattellato ovunque in pubblico in rete i documenti ufficiali che comprovano questo rinvio a giudizio.
Mettiamo il caso che abbia anche diffuso ovunque, con le tecniche dello spam, i dati personali di ex moglie e figlio minorenne (e ci pare che questa sia violazione della privacy, ancora più grave se fatta su di un bambino).
Mettiamo il caso che la moglie di questo signore sia stata assistita da un centro antiviolenza e che costui non faccia mistero di avere mosso a questo centro antiviolenza delle accuse.
Mettiamo il caso che queste accuse contro questo centro antiviolenza siano poi state archiviate in quanto inconsistenti e che il centro antiviolenza abbia poi deciso di controquerelare per diffamazione.
Mettiamo anche il caso che questo signore si ritrovi titolare di un’azienda di servizi internet sui cui server risultino incontrovertibilmente allocati buona parte dei domini di siti che, curiosamente, hanno i nomi copiati da preesistenti siti femministi, per la difesa dei minori o contro la violenza sulle donne.
Mettiamo il caso che su questi siti appaiano articoli privi di firma che sbattono in rete le identità di privati cittadini privi di alcuna rilevanza istituzionale, accostati ad illazioni più o meno velate tendenti ad attribuire a questi privati cittadini fatti assolutamente falsi.
Mettiamo anche il caso che improvvisamente appaiano su Facebook una serie di pagine dal nome copiato a pagine preesistenti, tutte dal contenuto simile, che condividono tutte proprio quegli articoli proprio da quei siti collocati proprio su quel server appartenente proprio a quell’azienda di cui risulta titolare proprio quella persona.
Mettiamo il caso che questi articoli parlino malissimo del femminismo, malissimo dei centri antiviolenza, malissimo delle donne in generale, malissimo delle donne divorziate, delle madri.
Infine, poniamo pure che alcune di queste pagine abbiano come tema il contrasto alla violenza sulle donne.

A qualcuno potrebbe sorgere spontanea la domanda: “ se a gestire una pagina contro la violenza sulle donne ci fossero individui che, per motivi personali, sono esacerbati perché colpiti da querele per maltrattamenti domestici, sarebbero questi i più indicati a gestire una pagina contro la violenza sulle donne? Sarebbero questi capaci di obiettività, di utilizzare la pagina per il bene comune e non per dare sfogo al proprio rancore?”

E perché, nonostante esista il diritto di critica e di opinione, c’è chi, appena si esprime un’opinione critica davanti a palesi contraddizioni, minaccia querele ed invoca l’imbavagliamento di chi ha osato criticare?

La diffamazione, poi, si comprova anche nei suoi effetti e sentirsi chiedere per due anni se sei la famosa politica del PD o la famosa fornitrice di statistiche all’ISTAT, che maneggia denaro pubblico, vi assicuro che non è piacevole.
Trovarsi pubblicamente insultata e minacciata da perfetti estranei in luoghi dove nemmeno di solito si bazzica, non è piacevole e se tutto questo è conseguenza di articoli che hanno riportato falsità su di te che non ti viene neppure permesso di smentire, è ancora meno piacevole.
Se poi ciò avviene quando avevi deciso di iscriverti a Facebook nonostante non ti piacesse la facilità con cui questa viola la privacy e che quindi avevi settato la tua privacy al massimo, avevi negato il diritto a Facebook di indicizzare il tuo profilo su Google e non sapevi neppure che i commenti su una pagina pubblica potessero finire in pasto a chiunque, capirete com’è poco piacevole.
Se il tuo nome viene preso dall’UNICO commento sull’unica pagina dove ti eri esposta per contattare un vecchio compagno di scuola e da qui viene passato su blog, siti internet e pagine Facebook di larga diffusione, quando magari evitavi parenti e vicini di casa, è una vera e propria violenza.
Se qualcuno ti mette tuo malgrado sulla bocca di tutti, togliendoti ogni diritto alla difesa e sobilla alcuni personaggi discutibili che decidono di darti il tormento notte e giorno, minacciandoti, augurandoti tumori all’utero, diffamandoti ed insultandoti, vi assicuro che è poco piacevole.

E allora io spero di spiegare per una sola volta almeno qualche concetto essenziale:
1) Andare a raccontare in giro che una persona sia querelata ha il sottile intento di farla passare per disonesta. Una querela può essere anche completamente campata in aria.
Andare a raccontarlo in giro quando notizie ufficiali sulla querela non ve ne sono è scorretto e sembra avere l’intento di gettare un’ombra sulle persone accusate.
Ci sono strane persone in rete. Persone che giustificano uno stupratore o un assassino pluriomicida ma che condannano un querelato.
Chiariamo anche ai meno preparati che stupro o omicidio sono crimini oggettivi. La legge li persegue d’ufficio, cioè automaticamente; la diffamazione, la calunnia, l’ingiuria sono condizioni soggettive, cioè è chi si sente offeso o diffamato a decidere di querelare.
Sono situazioni ben diverse.
Però se un uomo stupra o uccide una donna trova qualcuno disposto a giustificarlo.
Se una donna, per giunta femminista, si trova querelata, è lo stesso querelante a dipingerla pubblicamente come una criminale.

2) C’è qualcuno che ha accusato pubblicamente gli scritti della signora Loredana Morandi di essere diffamatori quando sono contro di lui e , invece, fonte d’informazione quando sono contro i famosi “critici” o contro altre persone “messe alla gogna”. Com’è possibile?
Secondo Mr A, che detesta Mrs B e vorrebbe assolutamente vederlo sparire nelle fiamme dell’inferno, se Mrs C scrive contro di lui sta automaticamente scrivendo falsità; se Mrs C scrive contro Mrs B invece sta comunicando verità sacrosante?

3) Partendo dall’assunto che l’invio delle querele sia  effettivo e che queste non risultino archiviate, non mi pare una cosa furba da parte del querelante dare tormento al querelato, appigliarsi a qualsiasi cosa succeda al querelato onde diffondere in giro notizie false. Un querelante per diffamazione può mai avere anche il diritto di diffamare il querelato? Non mi risulta ma forse mi sbaglio, chissà.

4) Condividere contenuti diffamatori presi da terzi è comunque diffamatorio.
Che direte eventualmente al giudice? “No, io non sapevo che Loredana Morandi scrivesse cose false” quando voi stessi l’avete pubblicamente accusata di essere una diffamatrice?

5) I commenti esasperati di una persona che si è ritrovata violentata nella propria privacy nel giorno di Natale davanti a centinaia di migliaia di sconosciuti, i commenti esasperati di una persona che ha scoperto a Capodanno, poco prima di uscire per andare a cena fuori e alla vigilia di un viaggio, insomma, sul più bello, quando una persona vorrebbe essere lasciata in pace (c’è chi ha una vita, sapete?) che qualcuno va in giro spacciandosi per lei e che questo profilo falso è stato poi pubblicizzato su una pagina con centinaia di migliaia di utenti, si troverà verosimilmente nella condizione sotto riportata:

Ai sensi dell'articolo 599 del codice penale, secondo comma:

Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 594 e 595 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.

Ciò configura la cosiddetta provocazione, comune sia all'ingiuria che alla diffamazione, che è variamente configurata dalla dottrina quale causa di esclusione della colpevolezza, ovvero causa di giustificazione o, infine, quale causa di non punibilità in senso stretto.

Lo stato d'ira e l'immediatezza della reazione ("subito dopo" il fatto ingiusto) vengono interpretate dalla giurisprudenza in senso relativo: vengono applicate infatti anche in casi di diffamazione a mezzo stampa, in cui l'immediatezza della reazione non sarebbe configurabile. “

E se tutto ciò avviene dopo due anni di attacchi, insulti, accuse infamanti e false, minacce, invasioni di giorno e di notte, eccetera eccetera, forse perdere un attimo la pazienza è pure comprensibile.
A questo punto, mi auguro che almeno una querela arrivi a giudizio perché sarà l’unico modo per liberarsi di chi danneggia ma non vuole che tu ti difenda.

Tuttavia, come vedete, la logica è una dote molto importante.


 

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